di Domenico Vero
Scrivere del canonico
Francesco Caruso, è rievocare un autentico maestro di spiritualità schietta e sostanziosa,
il quale ebbe, per qualità di natura e finezze di grazia, il dono della
discrezione delle anime.
Nato di sana e
numerosa famiglia del nostro buon popolo, ricca di sangue e di vite ma povera
di beni di fortuna, sentì fin da giovinetto il richiamo al santuario, ma
dovette rinchiudere il suo ideale in fondo al cuore per le ristrettezze economiche
della famiglia e forse, lavorando nei campi, davanti al miracolo dello
sbocciare dei fiori sotto l'azione della luce del sole, meditò lungamente
sull'azione della grazia sulle anime ed intorno alla missione del sacerdote,
che presiede a questo miracolo recondito.
Comunque, benché un
po' tardi, Don Francesco raggiunse la vetta e fu sacerdote prudente, discreto,
portato più che alle attività del ministero esteriore, al lavorio interno,
silenzioso nell'intimo delle coscienze, azione sacerdotale meno appariscente ma
più sostanziosa.
Nell'arte difficile di
sbozzare e plasmare i giovani avviati al sacerdozio nel raccoglimento della sua
cameretta, come nella direzione delle anime nella penombra del confessionale
sotto le volte silenziose del Duomo, il canonico Caruso lavorava a modellare
anime e cuori secondo uno schema di essenziale spiritualità a lui caro.
La sua figura alta e
naturalmente eretta e composta, dal volto roseo e placido raccolto sotto il nicchio,
che, ad ore fisse, si staccava dalla penombra del Seminario, per immergersi in
quella del Duomo o viceversa, riscuoteva venerazione, infondeva confidenza. Era
popolare nella città di Catanzaro, quasi un elemento essenziale, connaturale
della sua vita religiosa per oltre un trentennio.
Poi venne la guerra e la
distruzione del Duomo e del Seminario ad interrompere un ritmo di vita sana e
tradizionale. I tempi nuovi, caratterizzati da profonda irrequietezza e
disorientamento degli spiriti, amareggiarono molto Padre Caruso, che si vide
costretto, e nel momento di maggiore bisogno, per mancanza di alloggio, ad
allontanarsi dal suo centro di operosità sacerdotale, donde tanta luce aveva
riversato negli spiriti, che a lui si erano rivolti bisognosi di un
orientamento o di una parola di conforto. E fu questa una grave perdita per le
anime.
Nell'arioso paese
natio, Gasperina, dai vasti orizzonti luminosi, dove egli trascorse gli ultimi
anni, guardava spesso verso Catanzaro, campo fecondo del suo lavoro di solerte
operaio della vigna, spiando se nell'azzurro si staccassero finalmente le
cupole o il campanile del risorto Duomo… Si spense prima che il suo desiderio
fosse appagato.
Vive nelle anime il
suo ricordo di sacerdote illuminato e saggio ed un po' di quella luce di
spiritualità, che egli seppe proiettarvi. Vive soprattutto il suo spirito nella
Casa dei Sacri Cuori, bianca oasi di pace tra il verdeargento degli ulivi,
sbocciata anche un po' dal suo cuore di sacerdote, che seppe credere nella
carità.
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